L’avvicinarsi dell’autunno e del freddo pone nuovamente al centro dei bisogni primari degli italiani il riscaldamento. Tuttavia, per quanto sia necessario, il suo utilizzo si scontra con le esigenze del portafoglio.
Pagare il giusto solo per ciò che si consuma è l’obbiettivo di ogni consumatore, consentendo anche un maggiore grado di autonomia. Per una ripartizione corretta ed equa delle spese, l’introduzione della termoregolazione negli edifici condominiali dotati di riscaldamento centralizzato si è rivelato un tassello per la gestione dei consumi in base alle proprie esigenze per i condomini.
Nel caso di condomini è la stessa legge a regolare espressamente il fenomeno. La termoregolazione è obbligatori ai sensi dell’articolo 9, comma 5, lettera d), del Dlgs 102/2014, che attua la direttiva comunitaria 2012/27/UE sull’efficienza energetica, prevede che le spese di riscaldamento debbano essere ripartite tra i singoli condomini in base ai criteri stabiliti dalla norma Uni 10200 e distinguendo tra consumo volontario e involontario, rifacendosi alla “Norme per l’attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso nazionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia” dell’articolo 26, comma 5, numero 10, della legge 10/1991. I consumi quindi vengono calcolati e suddivisi in millesimi di riscaldamento calcolati da un tecnico abilitato tenendo conto della quantità di energia che ogni appartamento necessita per mantenere una temperatura di 20 gradi (tenendo conto ad esempio del numero e della dimensione di finestre, della presenza di un cavedio, del piano, della presenza di un tetto o di una terrazza). Nel computo è calcolato sia il consumo dei propri caloriferi (diretto) sia il calore proveniente esternamente (indiretto).
L’ultima revisione Uni 10200 (avvenuta ad ottobre del 2018) ha cercato di risolvere le imprecisioni derivate dalla discontinuità del riscaldamento, un problema che si pone non tanto per le singole famiglie quanto per i proprietari di edifici in località turistiche, lasciando “freddi” gli appartamenti lungo l’anno e sbilanciando il calcolo dei millesimi. Infatti il calcolo viene effettuato considerando l’immobile a pieno regime, quando invece gli inquilini che condividono la struttura con altri appartamenti ricettivi si ritrovano così a pagare spese indirette inesistenti. Ricordiamo che il consumo involontario non dipende dalle abitudini personali, ma si riferisce soprattutto alle dispersioni di calore dell’impianto. Ma se non c’è dispersione di calore presso i vicini non può esserci pertanto riscaldamento. Nel nuovo documento si tiene conto per tanto del rapporto tra l’energia termica effettivamente erogata dalla caldaia verso l’impianto e l’energia che l’impianto avrebbe erogato nel caso in cui tutti gli occupanti avessero usufruito del riscaldamento.
La variabile inserita quindi considera se l’immobile è a piena occupazione oppure a occupazione saltuaria, permettendo quindi in questo caso una revisione delle ripartizioni delle spese. Se tuttavia si riscontrano differenze di fabbisogno termico per metro quadro tra le unità immobiliari costituenti il condominio o l’edificio polifunzionale superiori al 50 per cento, la norma non risulta più applicabile. In questo caso quindi l’assemblea condominiale può decidere di suddividere le spese calcolando almeno il 70% di consumo volontario e ripartendo la restante percentuale in proporzione ai metri cubi, ai metri quadri o ai millesimi di proprietà.
Commenti
Posta un commento