Sempre più consumatori ricercano prodotti bio non trattati né modificati, rafforzati dalle tante campagne pubblicitarie a favore dei prodotti “naturali”. Ma questo tipo di marketing è davvero vincente?
La pubblicità influenza la nostra percezione, specialmente quando alimentata dalla società stessa e proprio col cibo questo fenomeno è ancora più evidente. I consumatori sono convinti di consumare frutta e verdura proveniente da orti completamente bio, quasi che fossero coltivati ancora a mano e immuni ai cambiamenti climatici o ad altri incidenti che possono abbattersi sulle coltivazioni.
Uno studio condotto dal Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria (Crea) ha rivelato al festival Food Scienze di Mantova che nella realtà la maggior parte degli alimenti che compriamo sono stati comunque già modificati dall’uomo nel corso degli ultimi decenni a seguito di selezioni, studi, sperimentazioni e innesti. Secondo gli studi gli alimenti che ricerchiamo oggi nei mercati insomma non sono gli stessi di secoli fa e quindi non sono immutati nei secoli.
Luigi Cattivelli del Genomic Research Centre del Crea durante la sua esposizione, ha posto alcune domande apparentemente banali: «Vi sembra normale che i pomodori al supermercato siano rossi? - Ha chiesto al pubblico - Viene da rispondere di sì, ma la verità è che fino a pochi decenni fa i pomodori si acquistavano ancora verdi. Perché nel momento in cui maturavano, dovevano essere consumati entro un paio di giorni prima che marcissero. La genetica del pomodoro è stata modificata perché il frutto maturasse molto lentamente. Solo così è possibile tenerlo per settimane sugli scaffali e nel frigo di casa. E i datterini, i pachino, i ciliegini? Mai visti fino agli anni Novanta. Persino il latte, - prosegue - che in apparenza è lo stesso prodotto da sempre, oggi è molto diverso. Se un litro costa poco più di un euro è perché nel corso degli ultimi 40 anni la produttività delle vacche è stata quasi raddoppiata: da 50 a 100 quintali di latte all’anno».
Insomma per una mera questione di marketing: promuovere una mela senza pesticidi equivale ad ammettere che tutte le altre sono state trattate circa venti volte prima della raccolta, quando nella realtà storica sono già state precedentemente trattate e più volte.
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